sabato 30 marzo 2013

Il sidro in Israele: breve storia di un giovane amore

Il sidro in Israele: breve storia di un giovane amore

Fonte: Gusto Sidro

Lentamente, ma inesorabilmente, il sidro sta conquistando anche terre mai esplorate prima. Come Israele. Questo Paese, che a prima vista non offre l’ambiente ideale per la coltivazione dei meli, è invece non solo adatto ma perfino predisposto ad accogliere e far proprie tutte le esigenze e le caratteristiche della bevanda fermentata. E se prima si diceva che la birra fosse il “nuovo vino”, vale a dire la bevanda più presente sulla tavola di tutte le famiglie, ora gli israeliani dichiarano con sicurezza che invece questo posto sarà conquistato proprio dal sidro.

Un esordio sfortunato

La storia del sidro in Israele è davvero recente. Le prime bottiglie da queste parti sono arrivate a  metà anni Novanta ma hanno avuto vita breve. Il marchio di allora, Cider Hagalil, mise in vendita un prodotto forse troppo particolare, eccessivamente forte e dolce, che non era destinato a fare breccia in un gran numero di cuori. E infatti scomparve rapidamente. Ma oggi, ancor prima di attendere l’importazione, gli israeliani hanno iniziato a coltivare le proprie mele, in particolare nell’altopiano del Golan, a settentrione. Dove la terra di origine vulcanica offre tufo, basalto e minerali a volontà che rendono le mele gustose, ben bilanciate e ricche di profumi. E danno qualità anche al sidro.

Affinità elettive

In verità la coltivazione delle mele ha radici ben più antiche poiché, ancor prima dell’esplosione del vino, lassù fra le alture e gli altopiani dell’antica terra, da tempo si raccoglievano questi frutti che tuttavia parevano non avere possibilità alternative rispetto al loro utilizzo classico. Ecco che ora, invece, anche a chi s’era convertito all’uva appare pienamente la nuova e ricca opportunità: quella della conversione in sidro, la bevanda leggermente alcolica che grazie al suo sapore delicato si sta rivelando capace di impossessarsi di un ampio numero di affezionati. Si cominciano infatti già a contare diversi neofiti, a partire dal famoso kibbutz El Rom che, proprio nel Golan, attorno ai 1200 metri, già da qualche anno coltiva i propri frutti e li trasforma in due diversi tipi di sidro. Uno secco e uno semisecco. La seconda azienda a cadere davanti all’irresistibile tentazione è stata la fattoria Tura , nelle alture della regione Samaria, dove oltre al vino e all’olio si è deciso di lanciare il nuovo sidro, prodotto con mele biologiche. Terzo pioniere della nuova rotta: Denny Neilson, californiano trapiantato fra le colline di Gerusalemme dove con il suo marchio Isra-Ale produce birra, vino e ora anche sidro rifornendosi di frutta dai vicini kibbutz.

Futuro roseo, anzi dorato

Si tratta quindi più che altro di un ritorno al passato, corredato dal recupero di tradizioni e saperi, a favore di un nuovo futuro che si chiama sidro. E se ancora oggi quando si chiede a un israeliano che cosa sia quest’ultimo, è facile che ci si senta rispondere che è un certo tipo di succo di mela, qualcosa ora sta cambiando irrimediabilmente e “sidro” è già per molti sinonimo di bevanda color oro, dissetante, fresca, perfetta per le giornate assolate così frequenti a quelle latitudini. E di affari d’oro.

Mele artistiche per le strade di Mosca e altre opere di frutta

Mele artistiche per le strade di Mosca e altre opere di frutta

Fonte: Gusto Sidro
Lo scorso ottobre per le strade di Mosca sono spuntate tante mele. Si sono fatte trovare al ciglio delle strade, in mezzo ai lampioni, sui marciapiedi. Da un giorno all’altro come se nulla fosse: erano metallizzate o opache, rosse, gialle, argentate, multicolore. Lì ferme a occupare uno spazio tutto loro, rubato alla routine della metropoli e all’indistinto ammassarsi di oggetti qualunque che si dipanano nello spazio cittadino. Erano lì per stupire e ci sono riuscite. Grazie al loro creatore Alessandro Gedda, un artista dalla grande versatilità che sta diventando sempre più internazionale. Che le ha messe in scena durante la moscovita settimana del Design, manifestazione che ha raccolto i protagonisti internazionali del design grafico, fashion e industriale.

Come delle mele a Mosca

Mosca non è una città qualunque. Vi si respira la storia, quella importante e grandiosa. Ed è ricolma, anzi straboccante, di una personalità solo sua, con i suoi spazi giganteschi e maestosi, con i suoi lussi scintillanti, con le sue differenze sociali e contraddizioni laceranti. Eppure perfino una metropoli così, dove 18 milioni di persone pullulano ogni giorno e i monumenti sono così vivi che pare respirino, esiste la monotonia del quotidiano. E l’artista Gedda proprio quella voleva lacerare spargendo le sue mele. Ben 50 giganteschi pomi di due metri d’altezza, così particolari da brillare di luce propria. Ma perché a spuntare come funghi, notte tempo, sono state proprio le mele? Semplice: le mele sono capaci di dar luogo a un abbraccio cosmico. Uno stare insieme di tutte le persone in un unico simbolo ancestrale e presente nella maggior parte delle culture. E le vigorose pennellate di Gedda le rendono ancora più coinvolgenti, fra il color oro a ricordare la dea Afrodite, la più bella, e il rosso e il giallo e il nero, e tutti i colori che ci ricordano le energie primordiali della natura espresse in segni vigorosi tanto quanto le forze che regolano l’universo: la gravitazione, le forze nucleari, l’elettromagnetismo. E poi tornando dall’universo al piccolo mondo umano, ce n’è per tutti: con le sue mele si va dai luoghi simbolo della nostra cultura come New York, alla falce e martello. Dalle cupole o minareti, alle firme, i fiori, le date, i graffiti.

La geometria della frutta

Ma il frutto proibito non ha ispirato solo Alessandro Gedda. Sakir Gökçebag, fotografo turco largamente apprezzato nel mondo, si lascia affascinare da frutta e verdura in genere. Eppure per la mela ha sempre un occhio di riguardo. La ritrae come un solido geometrico qualsiasi, da scomporre e ricomporre a piacimento, cercando coincidenze perfette e stupefacenti. È un po’ questo il senso della raccolta fotografica di Gökçebag, che trasforma fagiolini e cocomeri, peperoncini e mele in codici a barre, scacchiere astratte, rombi, cerchi, raggiere strappandoli dal loro ambiente e dall’interpretazione del senso comune. In una frase: facendone strumenti artistici.
Le mele: la precisione meticolosa del taglio e la mano ferma nella composizione sono i segreti di questo artista che non manipola in nessun modo le sue foto ma ricorre solo alla sua arte concreta, fatta di coltello e fantasia. Le sue mele a metà formano cerchi e quadrati perfetti e perfino quadrati nei quadrati. Oppure, e qui occorre una maniacale cura del dettaglio, creano degli insiemi tanto coesi da sembrare un unico frutto. E invece sono tanti pezzi di mela tagliati in modo da coincidere al millimetro con gli altri e da compattarsi in modo perfetto.

Florent Tanent e la frutta impensata

Il fotografo francese Florent Tanent è un’altra (piacevole) vittima del fascino della frutta. La mette in posa come una bella modella e la rende affascinante così come non era mai stata prima. In una parola la mette in scena e fa vedere a tutti che esistono carote e zucchine, mele e peperoni, cipolle e limoni visibili anche da un’altra prospettiva. Mele sbucciate a metà si trasformano da semplice esemplare di frutto a morbida evocazione dell’atto si spogliarsi e lasciar intravedere il proprio lato più indifeso. Pomi che si incastrano e si trasformano in qualcos’altro, forse un bruco, forse un serpente. Queste metamorfosi hanno animato l’esibizione di Parigi A Colorful Winter che a fine gennaio ha ravvivato i grigiori dell’inverno con i suoi giochi di scale, sia di colori che di grandezze, per una serie di nature morte che si ribellerebbero a sentirsi chiamare così. È nondimeno raro vedere un’arte tanto viva. Ma la frutta, che evoca l’umiltà del quotidiano, e che per eccellenza è esempio di natura morta, termine coniato durante il Rinascimento proprio per indicare il ritratto di oggetti inanimati, nell’arte contemporanea muta. Da umile decorazione pian piano nel tempo s’è trasformata facendosi carico di un’infinità di simboli, dal caduco all’eterno e al vitale, dalla bellezza alla corruttibilità. Fino ad arrivare all’arte contemporanea dove, spogliandosi con un colpo di mano improvviso, può anche presentarsi in tutta la sua semplice bellezza e irrompere solo grazie a se stessa facendo a meno di complesse allegorie.